Breve storia del museo delle scienze naturali- Pt. I: Dai primordi al Medioevo

Il concetto e la pratica di museo sono radicati nella storia dell’uomo, come dimostrano i recenti studi di paleoantropologia culturale, che indicano come sia nell’antropologia del sacro che dobbiamo oggi ricercare le motivazioni che hanno condotto alla formazione e alla conservazione di artefatti con la finalità di una comunicazione culturale (Vercelloni, in Lugli et al., 2005, pg. 165).

Il museo moderno è una produzione dell’umanesimo rinascimentale, dell’illuminismo del diciottesimo secolo e della democrazia del diciannovesimo secolo.
J. Crook (citato in Alexander, Museums in motion, 2007, pg.5)

Conoscere il passato ci aiuta a orientarci nel presente.
Falletti e Maggio (in 2001, pg.21)

Il museo scientifico ha subito nel corso dei secoli vari mutamenti. Mutamenti che continuano ancora oggi, soprattutto in un mondo fatto di sche(r)mi interattivi e di internauti. Ma… Vi siete mai chiesti cosa significhi effettivamente un museo, e quale sia la storia di questo “contenitore”? E ancora: avete mai riflettuto sul museo delle scienze?
Troppe domande, avete ragione. Meglio andare al sodo.

“La storia dei musei può, nella sua massima parte, essere fatta coincidere con quella del collezionismo, una tendenza insita nell’uomo che ha sempre raccolto e conservato oggetti […]” (Curzio Cipriani, 2006, pg.9). La chiave di volta sta proprio nel collezionismo: “collezioni di cose rare e preziose si trovano infatti sotto forma di ‘tesori’, in tutte le culture, anche le più antiche, le più lontane, le più semplici” (Merzagora e Rodari, 2007, pg. 15). A tal proposito, con ironia von Schlosser, storico del collezionismo, sottolinea come l’inizio della suddetta pratica nasce “dalla gazza ladra e dalle molteplici strabilianti osservazioni che sono state fatte […]” in campo naturalistico (citato in Merzagora e Rodari, 2007, pg.15).

Il Museion e la Biblioteca di Alessandria- Dalla nascita delle prime civiltà complesse fino alla storia ellenica, si possono individuare le prime forme di museo: “contenitori di materiale ordinato” (Curzio Cipriani, 2006, pg.9) e “depositi della memoria collettiva” (Varricchio, citato in Falletti e Maggio, 2011, pg.23) di tipo simbolico e di valore sono i primi insediamenti del Mesolitico e del Neolitico, le tombe o i templi dedicati alle divinità; a voler forzare la mano, anche l’Arca di Noè biblica può essere considerata come un primo tentativo di conservazione e di classificazione del mondo naturale.
Non è un caso che per la prima volta il termine ‘museo’ spunta nelle fila della cultura ellenica (‘museo’, ‘mosaico’ e ‘muse’ hanno la stessa etimologia). E non è neanche un caso che la concezione del museo nasce in un luogo di culto dedicato alle muse delle arti e delle scienze: il Museion di Alessandria (280 a.C.), “prototipo del museo quale lo intendono i moderni, dal Rinascimento in poi: un edificio monumentale di istituzione laica (Beretta, citato in Merzagora e Rodari, 2007, pg. 14).
Nato come dimora del re Tolomeo I Sotere (il ‘Salvatore’), generale di Alessandro Magno, e sviluppatosi sotto la dinastia dei Tolomei, il Museion (1) si componeva di un ampio edificio con porticati e cortili per le passeggiate di stampo peripatetico. Sotto il volere dello stesso sovrano, l’edificio divenne subito centro di massima cultura dell’epoca a seguito dei modelli lasciati dall’Accademia di Platone prima e dalla Scuola aristotelica poi. Conteneva all’interno un giardino zoologico e botanico, un osservatorio astronomico, il tempio dedicato al culto delle Muse, il Museion vero e proprio, e una biblioteca- la Grande Biblioteca- con più di 500mila rotoli rappresentanti tutto lo scibile fino ad allora conosciuto tramite la tradizione scritta. Per la dinastia tolemaica, la pulsione alla collezione bibliotecaria era maniacale: si narra che Tolomeo III non disdegnasse inganni e furti per acquisire un dato tomo di valore. Tomo di cui venivano restituite le copie ai legittimi.
Grazie a questa politica imperiale, la Grande Biblioteca di Alessandria divenne la più imponente e la più fornita del mondo antico, “un archivio del sapere a disposizione di chi cerca di ampliare le proprie conoscenze” (Cipriani, 2006, pg.10). Ed è proprio nella Grande Biblioteca che il mondo accademico identifica per convenzione la nascita del ‘contenitore’ museo.
Sotto la direzione di scienziati del calibro di Euclide, Archimede, Eratostene (2) e Apollonio, solo per citarne alcuni, i giardini ospitavano spesso studiosi e avidi del sapere filosofico e scientifico col fine di praticare l’arte del confronto e della ricerca. Ad allietare la loro vista, vi erano “statue di pensatori, strumenti astronomici e chirurgici, busti di elefanti e pelli di animali […] (Alexander e Alexander, 2007, pg.3).

Raffigurazione immaginaria di un particolare della Gtande Biblioteca

Raffigurazione immaginaria di un particolare della Grande Biblioteca

Durata per più di otto secoli con periodi altalenanti, la Grande Biblioteca venne distrutta completamente nel V secolo d.C. a seguito di varie guerriglie e rivoluzioni, probabilmente capeggiati da fanatici cristiani che vedevano in essa una dottrina contraria alla loro (Cipriani, 2006); il Museion, la parte dedicata alle Muse e alle arti in generale, venne perso nel III secolo d.C.

Le collezioni latine e greche- Se col Museion e con la Grande Biblioteca si cerca di dare una spiegazione all’etimologia del termine, con il mondo classico si cerca di capire l’essenza vera e propria del museo.
Durante il periodo ellenico- romano, il collezionismo si compone in massima parte di oggetti di valore estetico, artistico e mistico-religioso. Soprattutto i templi greci erano colmi di offerte in oro, argento o bronzo, e non di rado si riempivano di quadri e statue in onore alle divinità (3). Nell’ottica del ‘contenitore’, anche la città romana stessa è da considerarsi manifestazione del bello e delle informazioni culturali: i romani infatti solevano mostrare nelle pubbliche piazze, nei giardini o nei teatri i vari bottini di guerra, quali per esempio dipinti o statue. La prima impronta di ‘museo scientifico’ in senso lato viene data dalla civiltà romana quando l’imperatore Marcello, oltre a saccheggiare Siracusa dei beni di interesse economico e sociale, decide di portare in patria molte delle macchine costruite da Archimede al fine di “godimento estetico” e di studio per gli scienziati dell’epoca (Curzio Cipriani, 2006, pg.9). Più tardi, sulla stessa scia, l’imperatore Adriano nel II secolo decide di allestire i propri edifici nell’attuale Tivoli in funzione di ciò che ha ammirato durante i suoi viaggi nei territori romani, come l’Accademia di Atene o i Tempi della Tessaglia.
Se nelle ville romane e greche è l’arte in senso stretto a farla da padrona, i giardini delle dimore regali di questo periodo sono da considerarsi antichi ecomusei, atti a stupire gli ospiti delle ville imperiali romane; inoltre, erano luoghi di esposizione dei bottini di guerra, i quali, molto spesso, contenevano oggetti di origine naturale provenienti dai nuovi territori conquistati: Plinio il Vecchio afferma che “la maestosità della natura vi si concentrava in uno spazio ristretto”(citato in Merzagora e Rodari, 2007, pg.14). Nonostante ciò, il termine ‘museion’, tanto caro e pieno di significato ai Tolomei, presso le ville romane viene declassato per indicare semplici grotte o anfratti abbelliti da mosaici in cui venivano collezionati anche conchiglie o gemme.

In seguito, si deve alle crociate, che misero in contatto due mondi apparentemente lontani, l’occidente e l’oriente, e alle chiese medievali il merito di collezionare oggetti: cominciano dunque le collezioni delle reliquie, cercate e mostrate nelle chiese perché hanno memoria dei personaggi cristiani.

Il medioevo e l’estetica della meraviglia- Per tutto il Medioevo- e a seguito nel Rinascimento, si accresce nei personaggi di alto rango sociale la pulsione e la dedizione verso le collezioni, già radicate nel mondo classico ed arrivate fino all’uomo moderno: molti uomini potenti cominciano a creare nelle proprie dimore delle vere e proprie raccolte di stampo naturalistico, primo germe dei mirabilia rinascimentali. Meraviglia, rarità, curiosità e stupore, sono i concetti principali che indirizzano verso la collezione naturalistica. Questo fermento si deve anche alla scoperta da parte di Colombo di un mondo completamente sconosciuto agli europei. Spuntano per la prima volta nelle collezioni elementi della natura, quali coccodrilli imbalsamati o pietre colpite da fulmini, denti di narvalo, zanne di elefante, lingue di serpente, nonchè minerali, rocce particolari o fossili; molti gabinetti europei contengono anche scheletri di ‘giganti’ (probabilmente mammuth), ossa e pelli di vario tipo e genere, ma anche crani di uomini. Le ‘stranezze’ si spingono fino al limite del possibile: a Mantova, la famiglia dei Gonzaga, preso possesso della villa appartenuta ai Bonacolsi, fece mostra del “corpo imbalsamato di Rinaldo (l’ultimo dei Bonacolsi, N.d.A.) seduto eretto bullonato sull’ippopotamo”, anch’esso tassidermizzato (4) (Alexander e Alexander, 2007, pg.55).
“Tutto ciò era definito monstrum, da cui il nostro mostro, che significava però che era da mostrare perché interessante, tale da destare stupore, meraviglia” (Cipriani, 2006, pg. 11). Chi possedeva il monstrum divenne subito “simbolo di potenza e di potere” (Falletti e Maggio, 2011, pg. 28).
I ‘contenitori’ delle collezioni appena descritti passano alla storia sotto il nome di studioli, piccole stanze nate con l’intento di arricchire lo spirito e l’animo dei visitatori e dei proprietari e poi “adibiti allo studio ma anche alla conservazione di oggetti speciali” (5) (Falletti e Maggio, 2011, pg.32) di varia natura.

Ritratto di Ulisse Aldrovandi

Ritratto di Ulisse Aldrovandi

Il Microcosmo bolognese: l’“ottavo miracolo del mondo”- La collezione del XVI sec., oltre a mantenere la funzione originale del ‘monstrum’, assume ben presto un altro ruolo: la divulgazione accademica. Molti privati, infatti, alla luce dell’importanza dei loro reperti, decidono di condividere le informazioni derivate dallo studio di questi reperti per farne delle vere e proprie esposizioni pubbliche. È il caso di Conrad Gesner e di Felix Platter, che nel 1550 misero insieme parti delle loro collezioni per farne una relativamente completa (6); o di Ulisse Aldrovandi.
Mentre a Como cominciava ad affermarsi la museologia umanistica gioviana, a Bologna muoveva i primi passi l’idea di una collezione organica di stampo naturalistico ad opera di Ulisse Aldrovandi (1522-1605).
Visto dai museologi moderni come “il nuovo Ulisse, anzi un altro Colombo, il prototipo rinascimentale del viaggiatore che possedeva novità al servizio degli imperi” (Findlen, in Basso Peressut, 1997, pg. 33). Bolognese di origine, collezionista di pesci, e dedito all’attività accademica con la sua cattedra in Philosophia naturalis de fossilibus, plantis et animalibus, Aldrovandi si avvale dell’aiuto di molti studiosi suoi contemporanei per creare una collezione naturalistica titanica composta da 18mila ‘diversità di cose naturali’ e da un erbario contenente più di 7mila piante essiccate; il tutto, riportato fedelmente in 17 volumi (7) da lui soprannominati ‘Microcosmo’.
Le 18mila ‘diversità’ annoveravano minerali, rocce, ossa di balena e di animali marini, bradipi o parti di animali stravaganti, nonché pesci, primo nucleo della sua raccolta; ma anche esseri mitologici e uomini con fattezze non comuni. Il

Uomo con due teste raffigurato da Aldrovandi

Uomo con due teste raffigurato da Aldrovandi

successo di Aldrovandi fu dovuto soprattutto alla sua metodica classificazione dei reperti: preferisce i naturalia agli artificialia, ponendo l’accento solo ai frutti della natura. Al professore bolognese si deve inoltre il merito di aver scritto storie divulgative sugli animali, e di aver coniato il termine ‘geologia’, nonché di aver ispirato molti dei ‘musei’ italiani naturalistici del Seicento (8).
Aldrovandi chiese ed ottenne anche dal Senato di Bologna la creazione di uno dei primi degli orti botanici, l’Orto Pubblico, da lui diretto per quattro decadi. Lo stesso Senato, sotto testamento del naturalista, rese completamente accessibili al pubblico le collezioni di Aldrovandi anche dopo la sua morte.

Il periodo a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento fu molto proficuo per i naturalisti dell’epoca: oltre a diffondere e divulgare informazioni naturalistiche tramite le accoglienze nei loro ‘musei’, illuminati dallo stile di Aldrovandi si prodigavano nella stesura di vere e proprie monografie dei loro reperti. Grazie alla politica centrale delle attività aldrovandiane- lo scambio e l’acquisizione di nuovi pezzi-, le esposizioni permettevano non solo di godere dei reperti importati dai nuovi mondi, quali l’America, l’Asia, le Indie, ma anche di specializzarsi sempre di più nelle scienze naturali da parte degli studiosi.
Con il diverso approccio che alle cose della natura aveva dato, “Aldrovandi voleva costituire il maggior museo di storia naturale d’Europa e, contemporaneamente, mirava a indurre i naturalisti e i virtuosi a riconoscere l’importanza del collezionismo. In tal modo, il museo di storia naturale cessa di essere una passione specifica di un piccolo gruppo di individui, uniti dall’entusiasmo per la ricerca di novità e rarità, per divenire un’istituzione scientifica” (Findlen, in Basso Peressut, 1997, pg.38). Tecnicamente, il museo come lo intendiamo oggi, in una accezione stretta, nasce proprio in questo contesto storico. La vera innovazione del periodo, portata da Giovio prima e da Aldrovandi poi, sta infatti nell’aver aperto al pubblico generico le collezioni naturalistiche e/o umanistiche, e nell’aver associato delle brevi descrizioni ai reperti.

Le Wunderkammern– I prototipi di museo, gioviano in campo umanistico, e aldrovandiano per quanto riguarda la storia naturale, s’inseriscono in un contesto museologia più ampio, evoluzione delle gallerie e degli studioli: le Schatzkammern e le Wunderkammern. Mentre le prime- le ‘camere del tesoro’- sono prerogativa dei nobili amanti dell’arte e delle pietre preziose, le seconde- le ‘camere della meraviglia’- vengono spesso allestite anche da curiosi e studiosi della natura.

Rappresentazione di una Wunderkammern

Il ‘monstrum’ contenuto nelle Wunderkammern prende nome di mirabilia, a sua volta distinto in funzione della sua origine: naturalia è il reperto ‘donato’ da madre natura, mentre in artificialia vengono identificati tutti i prodotti dell’uomo. Ai due tipi di collezione si affianca un significato di confronto e di competizione tra la maestosità delle opere della natura e l’acume dei prodotti umani. Si mantiene dunque il carattere della curiosità che desta meraviglia, ma si tralascia, al contempo, una sistemazione logica delle collezioni. In esse è possibile trovare un insieme eterogeneo di oggetti esposti in modo caotico dentro gli armadi o su tavoli e mensole: “animali ‘seccati’ o impagliati o loro parti (corna, becchi, artigli) si mescolavano con preziosi pezzi d’oreficeria, con orologi e strumenti meccanici, ottici e matematici”. Tutto questo ‘disordine’ desterà disgusto negli Illuministi, fautori dell’“ordine metodico e dell’utilità” (Olmi, in Basso Peressut, 1997, pg. 49, 50).

Mentre in tutta Europa si afferma il culto delle Wunderkammern, scienziati come Galileo guardano con disprezzo alle collezioni rinascimentali. Hanno una concezione differente dell’essere naturalia, e di conseguenza osservano la natura servendosi del metodo scientifico: al centro della loro critica vi sono quei “curiosi” collezionisti di “cose di natura”, i quali all’“ordine metodico” preferiscono il “piacere degli occhi” (Olmi, in Basso Peressut, 1997 pg.58). A posteriori, potremmo dire che nella logica della Wunderkammern le collezioni sono “in realtà un limpido e coerente riflesso delle concezioni scientifiche del tempo e dei mezzi di cui disponeva la ricerca” (Olmi, in Basso Peressut, 1997, pg.52).
Inoltre, tutto ciò che proviene dalle nuove terre, le Americhe e le Indie, continua a mandare in aria gli schemi e le conoscenze dell’epoca, privilegiando lo stupore al rigore scientifico. La filosofia dei collezionisti rinascimentali si basa infatti sull’“apprendere di più riguardo alla natura studiando (e quindi anche raccogliendo nei musei) le sue meraviglie e le singolarità, piuttosto che le normalità e le regolarità” (Olmi, in Basso Peressut, 1997, pg. 52).

Sebbene in esse era ancora radicata la cultura del mistico e dell’esoterico, alle Wunderkammern va il merito di essere state luoghi di sperimentazione e di studio della diversità. Ma sperimentazione e studio sono anche prerogativa dei monaci medievali, i quali approfondiscono le conoscenze in campo botanico, da sempre corollario della medicina. A loro si deve la creazione e la manutenzione di molti degli orti botanici e dei giardini zoologici in varie parti dell’Europa.

(Puoi trovare la seconda parte qui, e la terza qui)

 

NOTE:
1.‘Musaeum’ è il termine riferito da Strabone nel III sec. d.C. (Lugli, in Lugli et al., 2005)
2. Pare che Eratostene si servì dei volumi contenuti nella Grande Biblioteca per lo studio preliminare della misurazione della terra (Denis Guedj, 2003)
3.Collezioni del genere venivano chiamate Pinacoteche (Alexander e Alexander, 2007).
4. La tassidermia è evoluzione dell’antica pratica dell’imbalsamazione egizia.
5. Sono conseguenza degli studioli le prime forme di museo della storia: il primo museo di stampo umanistico è opera di un uomo colto, Paolo Giovio; la collezione ‘scientifica’ di stampo naturalistico, è nata dall’ingegno di un ‘sistematico’ bolognese di nome Ulisse Aldrovandi, di cui si parlerà brevemente di seguito.
6. I resti di quella collezione oggi si possono vedere al museo di Storia Naturale di Basilea (Alexander e Alexander, 2007).
7. Questa enorme mole di materiale divulgativo veniva usato da Aldrovandi durante i suoi corsi universitari (Falletti e Maggio, 2011).
8. Tra questi si ricordano quello di Ferdinando Cospi a Bologna successore del museo aldrovandiano, Ludovico Moscardi a Padova, il Museo Kircheriano a Roma (Falletti e Maggio, 2011), Francesco Calceolari a Verona, Michele Mercati a Roma, e Ferrante Imperato a Napoli (Olmi, citato in Merzagora e Rodari, 2007).

Le foto sono state prese da internet

 

Bibliografia

ALEXANDER E. P., ALEXANDER M., Museums in motion- An introduction to the History and Functions of Museums, II ed., Altamira Pr, 2007                                             BASSO PERESSUT L., a cura di, Stanze della meraviglia- I musei della natura tra storia e progetto, CLUEB, 1997
CIPRIANI C., Appunti di museologia naturalistica, Firenze University Press, 2006
CAPANNA E., L‟uomo e la scimmia, prefazione in Le Collezioni Primatologiche Italiane, Istituto Italiano di Antropologia, 2006, pg. 3-12
FALLETTI V., MAGGIO M., I musei, Il Mulino2011
GUEDJ D., La chioma di Berenice, TEA, 2003
LUGLI A., PINNA G., VERCELLONI V., Tre idee di museo, Jaca Book 2005
MERZAGORA M., RODARI P., La scienza in mostra- Musei, science center e comunicazione, Mondadori, 2007
PINNA G., Fondamenti teorici per un museo di storia naturale, Jaca Book, 1997
PINNA G., Animali impagliati e altre memorie, Jaca Book, 2006