Questioni di spazio!

L’Ultimo Teorema: una semplice equazione messa in crisi da un margine… troppo stretto (?)

[La descrizione del suo lavoro:] Lunedì, tentato di dimostrare un teorema. Martedì, tentato di dimostrare un teorema. Mercoledì, tentato di dimostrare un teorema. Giovedì, tentato di dimostrare un teorema. Venerdì, teorema falso. Julia Bowman Robinson

«Sai fare le somme?» chiese la Regina Bianca. «Quanto fa uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno?» «Non so», rispose Alice. «Ho perso il conto». Charles Lutwidge Dodgson

Un bel problema, anche se non lo risolvi, ti fa compagnia se ci pensi ogni tanto. Ennio De Giorgi

Gli uomini muoiono, ma i loro atti restano. Augustin Louis Cauchy

Le verità scientifiche hanno bisogno di belle storie perché gli uomini possano affezionarvisi. Il mito, in questo caso, non ha lo scopo di entrare in concorrenza col vero, bensì di stabilire il contatto con quello che preme agli uomini e che li fa sognare. Il teorema del pappagallo- Denis Guedj

doodle di google per commemorare la nascita di Fermat

doodle di google per commemorare la nascita di Fermat

(introduzione di Rosario Balistreri:

Bella bestia, Arthur Clarke. Animale di razza della fantascienza d’oro, fa sempre un sacco di danni nelle menti di poveri nerd come il sottoscritto, amico del giovane naturalista. Ti fa riflettere ed incuriosire.
Ora, metti un tavolo in cucina, due fulminati che leggono Clarke ed un matematico scoppiato e psichedelico. Cosa ne vien fuori? Una corsa alla scoperta della storia della scienza, del trolling seicentesco e dell’evento matematico da cui parte il romanzo
L’Ultimo Teorema.)

I matematici sono strani. Si divertono a fare qualsiasi cosa con la loro scienza. Nella peggiore delle ipotesi, anche dopo la morte lasciano qualcosa da risolvere, un rompicapo che ha avuto a che fare con la loro vita. Se siete a cena con uno di loro, vi conviene sedervi il prima possibile, altrimenti potreste ritrovarvi in mezzo a dei calcoli che solo loro riescono a fare tra permutazioni, algoritmi, spazi vettoriali, funzioni di vario tipo, matrici e formule geometriche. E vi consiglio di scegliere un tavolo non circolare: in caso contrario non credo possiate cenare facilmente e velocemente con tutti quei “pigreco”, “fi” e raggi al quadrato tra le forchette! E pregate Iddio che non esca fuori il problema della quadratura del cerchio! Chi sta storcendo il naso pensando che il seguente sia uno scritto abbastanza tecnico, si sbaglia: non sono un matematico e di matematica capisco ben poco. State tranquilli! Questa è infatti una storia che vuole mettere in risalto le bellezze degli uomini di fronte alla volontà, al sacrificio e al lavoro in campo scientifico, in molti casi colorati dal fato e dalle illuminazioni. È una storia che sfiora quasi il mito. È una storia di ricerche; di frenetiche corse contro il tempo; di pregiudizi; è una storia che ha anche salvato la vita a qualcuno. Si, perché, checché se ne dica, un teorema e la matematica salvano la pelle a qualcuno di tanto in tanto; in casi rari, ma la salvano.

-Fermat, il “principe dei dilettanti”

Bene. Congratulazioni. Se siete arrivati a questo punto, nonostante l’accenno all’argomento, significa che siete interessati e che avete fegato. La cosa mi fa un enorme piacere; non avete vinto un premio, ma avete guadagnato la mia stima. Certo, non è come vincere una cospicua somma con un gratta e vinci, ma è già qualcosa.

Si accennava prima a pazzi, matematici e a problemi irrisolti: uno dei più famosi “teoremi” rimasti senza una spiegazione per quasi 400anni (a dire il vero qualcuno si lamenta ancora) ha come genitore un avvocato spesso conosciuto come il “principe dei dilettanti”.

Ebbene si: stiamo parlando di un avvocato! Un lettore attento potrebbe di conseguenza obiettare: “ma se si parla di matematica, e siamo su un blog di scienze naturali, che c’entra un avvocato? Così mi costringi ad abbandonarti…!” Per carità divina, non voglio abusare del vostro tempo: molto spesso, gente ben messa a livello professionale, fa delle scoperte in discipline che non sono i loro campi primari.

Visto che si parla di matematica, possiamo prendere come analogia un segmento, lungo poco meno di 400 anni e che porta il nome di Ultimo Teorema: ad un’estremità troviamo Pierre de Fermat, un avvocato francese vissuto nei primi anni del 1600; dalla parte opposta, quasi con furba timidezza, c’è un matematico inglese, Andrew Wiles, incuriosito, come tanti altri matematici, da un problema talmente semplice da non avere (apparentemente?) soluzione. Disposti ordinatamente tra i due punti del nostro segmento immaginario troviamo diverse generazioni di scienziati dei numeri- molti famosi, altri meno conosciuti. Come dice spesso un matematico a me molto vicino, “se decidi di iscriverti alla facoltà di matematica, devi passare da questo semplice quesito. Se NON lo risolvi, ti puoi definire dottore in matematica a pieni titoli, e puoi proseguire gli studi!”.

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Fermat

Ma andiamo con ordine. Cerchiamo di ricostruire le tappe, per me più significative, di questa curiosa storia. Siamo nella Francia della prima metà del seicento, in una località chiamata Tolosa. Nonostante sia un magistrato di fama nazionale, e di famiglia agiata, Fermat nel tempo libero è un ottimo matematico, si occupa di ottica e a tratti si rileva anche un discreto compositore di sonetti: proprio per questo suo eclettismo viene soprannominato il “principe dei dilettanti”. È la matematica la sua passione principale, e con essa ci gioca volentieri: viene considerato il precursore del calcolo differenziale e scopritore dei linguaggi che governano i massimi e i minimi di una funzione; individuò, indipendentemente da Cartesio, i principi fondamentali della geometria analitica e, attraverso la corrispondenza con Pascal, fu uno dei fondatori della teoria delle probabilità (ispirato dai giochi d’azzardo). Alla faccia degli studi part time! Di pugno suo non ha scritto nessun trattato; non amava diffondere i risultati che otteneva, forse perché troppo occupato in campo giuridico, forse perché le passioni spesso implicano solo un piacere metafisico, forse per pigrizia, o forse per stuzzicare la curiosità dei colleghi. Nonostante questo suo comportamento solipsistico, riconosciamo la paternità delle sue conquiste matematiche grazie alle piccole note che amava lasciare sui libri e grazie alle lunghe corrispondenze, raccolte e pubblicate in seguito dal figlio, avvenute tra Pierre e i più grandi matematici del tempo, quali, per esempio, i già menzionati Descartes e Pascal, o Mersenne e Huygens, anche loro molto versatili nelle discipline accademiche. (Si, quel periodo è stato molto prolifero). Ma la reazione degli interlocutori era talora risentita, e così Cartesio lo giudicava uno sbruffone, e l’inglese Wallis un maledetto francese.

E dunque: se abbiamo un Avvo-matico abbastanza sui generis che si diverte a prendere in giro i colleghi e il mondo accademico col suo ermetismo scientifico, fottutamente esatto nelle soluzioni, dobbiamo pure avere un problema da risolvere! E questo problema arriva la sera di natale del 1640, quando Pierre decide di mandare una lettera ad un suo amico parlandogli di un “teorema” che, secondo lui, nella sua semplicità, è vero solo in parte. Tale “teorema” afferma che non esistono soluzioni intere positive dell’equazione

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No, non sto cercando di forzare la vostra pazienza: in altre parole, se “n” è superiore a due non esistono tre numeri che soddisfino quell’equazione. Non vi preoccupate: la parte matematica finisce qua, in questa semplice equazione. D’ora in poi, non ci saranno più pezzi tecnici. A far da prologo a tutto è un “piccolo” (si fa per dire) appunto a margine lasciato da Fermat proprio su un lavoro di un altro matematico, questa volta di professione, greco di nome Diofanto (traduzione italiana dal latino):

E’ impossibile scrivere un cubo come somma di due cubi o una quarta potenza come somma di due quarte potenze o, in generale, nessun numero che sia una potenza maggiore come somma di due potenze dello stesso valore.

La curiosa vicenda legata a quell’equazione gira attorno alla frase seguente, corollario di quel “piccolo” appunto di cui si parlava prima:

Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.

Noi comuni mortali non riusciamo a capire la validità di quelle due lineette. Quell’ uguale in matematica ha una potenza enorme, è l’onnipotenza delle equazioni. Dietro a questa onnipotenza ci deve essere una dimostrazione se vogliamo che i termini a destra e a sinistra  abbiano un valore. Purtroppo per noi, fino a quando qualcosa di matematico non si dimostra rimane fine a se stessa. E se consideriamo l’ermetismo e il modus operandi dell’ Avvo-matico in questione, il gioco diventa impossibile: Fermat infatti ha solo accennato a questa sua rivelazione, ma non ha lasciato nessuna prova della sua validità matematica. Da questo punto in poi, il segmento immaginario introduttivo prende il nome di Ultimo Teorema di Fermat, da sempre sfida dei matematici professionisti e non. Dalla sua morte, infatti, diversi cavalieri dei numeri hanno provato a risolvere l’Ultimo Teorema usando metodi e modi diversi ma attinenti; qualcuno ci è riuscito solo per casi, ossia sostituendo quella “n” con numeri “piccoli”, tipo 3 (Eulero), 5 (Legendre e Dirichlet), 7 (Lamè), 14 (Dirichlet), o prendendo in considerazione solo casi particolari di numeri primi detti primi di Sophie Germain (che portano il nome della sua scopritrice). Per il caso di “n uguale a 2” ci avevano già pensato i matematici ellenici: stiamo parlando del Teorema di Pitagora, che per Fermat risulta essere un’eccezione e non la regola. Ma alla scienza non bastano né le eccezioni né i singoli casi: bisogna generalizzare il tutto, e bisogna farlo in maniera più rigorosa e precisa possibile.

Piccola nota: l’enunciato non fu certo l’ultimo considerato da Fermat in ordine di tempo: egli lo concepì in età giovane, intorno ai 40 anni. Tuttavia, in questo contesto frenetico l’Ultimo Teorema di Fermat diventa l’ultima e più nascosta sfida lanciata dal maledetto francese ai suoi contemporanei e alle future generazioni.

Come probabilmente qualcuno di voi ha notato, c’è un motivo per cui il termine “teorema” spunta virgolettato: infatti, fino a quando un’equazione matematica non viene dimostrata, non può essere considerata vera; quindi “teorema” risulta un termine scomodo e non politicamente corretto; nel nostro caso risulta più precisa la parola “congettura”, sinonimo di “teorema” virgolettato. E fino ad ora non si è dimostrato nulla.

-Tra i due litiganti, il terzo dimostra: Ernst Kummer

A questo punto facciamo un salto spazio-temporale degno dei migliori libri di fantascienza, inseriamo le coordinate giuste e dirigiamoci nella Germania della fine dell’800. Sono passati quasi tre secoli e la congettura di Fermat è ancora irrisolta. Ci avevano provato in tanti: per dare una stima approssimativa, a cavallo tra il XIX e il XX secolo le presunte dimostrazioni avevano raggiunto livelli assurdi, quasi un migliaio in soli quattro anni, ma nessuna era esatta.

In scienza, dopo aver fatto una scoperta bisogna passare per forza di cose dal vaglio della peer review, la “revisione tra pari”: la rivista addetta alla pubblicazione, prima di divulgare al mondo, rivede la ricerca per evitare passi falsi e per stabilire l’esattezza del lavoro. E dunque: nessuno, nonostante gli sforzi, aveva fatto un buon lavoro; tutte le dimostrazioni venivano rimandate ai mittenti perchè con errori grossolani e abbastanza fatali per la logica matematica. Come conseguenza a questi rifiuti, i protagonisti del mondo dei numeri, scoraggiati, avevano abbandonato le speranze, ritenendo che l’ Avvo-matico francese avesse fatto un passo falso, e che nessuna dimostrazione del suo scarabocchio sarebbe mai stata scoperta. In fin dei conti, erano già passati più di duecento anni, ci avevano provato anche i più grandi, e nessuno era riuscito nell’impresa.

Ma più il problema resisteva agli sforzi, più diventava celebre e allettante: diverse accademie infatti istituirono dei premi ad honorem, con tanto di ricompensa pecuniaria, per chi riuscisse nell’impresa. Ebbene: un vincitore, seppur per breve tempo, ci fu: Ernst Kummer.

Ernst_Eduard_Kummer

Kummer

Ernst Kummer non nasce come matematico. Dopo aver visto il padre, un medico, soccombere alle epidemie e alle battaglie della campagna napoleonica, decise di entrare nell’esercito per poter dare il proprio contributo alla resistenza tedesca e quindi per poter contrastare ogni nuova invasione della sua città. Come tanti altri prima di lui, quali per esempio Archimede, Tartaglia e Galileo, cominciò ad interessarsi ai numeri nei campi di battaglia: fece di necessità virtù. Cominciò infatti a studiare la balistica delle palle di cannone, diventando uno dei più grandi esperti del campo in Europa. A guerre finite si interessò anche lui al “teorema” di Fermat risolvendo l’annoso problema solo per un caso particolare, ossia per un’ampia classe di esponenti primi.

In più, nel contesto “Fermat”, Kummer si rese protagonista di un simpatico siparietto. A circa un mese di distanza dalla consegna dei loro lavori all’Accademia delle Scienze, due dei più grandi matematici del tempo, i già citati Lamè e Cauchy, fremevano per sapere l’esito. I due infiammarono i salotti parigini con affermazioni e stralci delle rispettive dimostrazioni, senza mai pubblicarle in modo definitivo e completo. Il mondo scientifico attendeva con ansia il suo eroe. Ma con grande stupore, fu proprio Kummer a dimostrare, partendo dalle poche notizie relative ai metodi che arrivavano dai salotti, che entrambi gli studiosi avevano sbagliato, perché si erano serviti di alcune proprietà matematiche che non potevano essere attribuite a quel particolare “teorema” (avevano attribuito ai numeri complessi una proprietà dei numeri reali). Avevano commesso un errore di logica e di stile. Le loro dimostrazioni vennero dunque mandate al mittente; Lamè e Cauchy avevano commesso lo stesso errore di Eulero, un secolo prima. Come conseguenza per il suo lavoro, Kummer ricevette notorietà, mentre il premio dell’Accademia delle Scienze francese venne ritirato.

Ancora una volta il beffardo Avvo-matico aveva vinto. Ancora una volta Fermat si era preso beffa dei suoi colleghi. Ancora una volta, l’ Ultimo Teorema restava nudo e lontano dalla sua dimostrazione. Ancora una volta veniva tramandato il mito.

-Il miracolo matematico: Paul Wolfskehl

I tempi sono maturi. Ci siamo quasi. Vi chiedo di tirare un bel respiro, mettetevi comodi, fumate una sigaretta. Fatto? Ora siamo pronti a riprendere la nostra storia.

Facciamo il punto della situazione: un avvocato francese mette in crisi il più famoso Teorema di Pitagora, che secondo lui è l’eccezione e non la regola; la regola, di conseguenza, viene cercata a lungo. La miccia che fa partire questo domino di frenetica ricerca matematica è rappresentata da una nota scritta su un libro, in cui chi scrive- l’avvocato, appunto- sostiene di possedere un enorme tesoro, ma non ha lo spazio per farlo vedere. Un evento unico nel suo genere e raro per i pochi che mangiano pane e numeri.

Ma gli eventi unici e rari non sono finiti qua. Se qualcuno vi chiedesse se può un teorema salvare una vita, sono sicuro che molti di voi risponderebbero di no. Anche io avrei detto la stessa cosa. Ne sono sicuro, vi ricrederete. Se a questo aggiungete tutto quello che è stato detto fino ad ora su Fermat e sulla sua congettura, i quasi 300 anni appena passati in rassegna assumono un valore alchemico, magico.

wolfskehl paul

wolfskehl

Si sa, una delusione d’amore è pur sempre una delusione. (Immagino la vostra faccia avendo letto la frase precedente. Mentre io gongolo, continuate a leggere) Ebbene si: la caccia all’eroe si riapre grazie ad un amore non corrisposto. Anche questa volta ci ritroviamo in Germania, nello stesso periodo storico-politico di Kummer. Un industriale con la passione per la matematica decide di farla finita perché troppo deluso dalla vita e dalla sua innamorata; il suo è un amore a senso unico. È un uomo preciso, metodico e fin troppo meticoloso lui: sistema i conti, scrive le lettere di addio ad amici e parenti, lascia tutto in ordine e redige il suo testamento; decide data e ora della fine: 13 settembre 1907. Un secondo dopo la mezzanotte si sarebbe sparato un colpo di pistola in testa. Finiti i preparativi per la “grande fine”, la sua meticolosità lo costringe a rimanere con le mani in mano: ha fatto pace col mondo tutto con un paio d’ore di anticipo. Visto le condizioni, io per primo avrei gustato un caffè e avrei fumato una sigaretta; l’ultima, come quella di Zeno. No, lui no. Decide di prendere una rivista di matematica per alleviare la sofferenza dell’attesa e per espiare i suoi peccati. Si dirige verso la sua biblioteca, da un’occhiata superficiale ai libri, prende una rivista. Il suo occhio cade proprio sull’articolo di Kummer. Sereno, si accinge a lavorarci su, tanto per ammazzare il tempo; ne aveva sentito parlare qualche tempo prima, ed ora era venuto il momento di approfondire. Ad un tratto intuisce che in quell’articolo c’è qualcosa che non quadra, (per l’ennesima volta) forse una falla logica. Se la sua illuminazione fosse stata corretta, si poteva rivedere il metodo usato da Lamè e Cauchy e riaccendere la corsa verso la dimostrazione dell’ Ultimo Teorema di Fermat. Si sistema, si mette comodo e comincia a rivedere tutte le tesi di Kummer. Tanto, c’è ancora abbastanza tempo, e la sua personalità lo costringe ad essere onesto con se stesso. Lavorandoci per bene si accorge che Kummer non aveva sbagliato! Sfinito e deluso, guarda l’ora: mezzanotte era passata da un bel pezzo. Questo significa che la morte gli è sfuggita. Paul Wolfskehl, il nostro industriale pronto a morire per una donna, era stato salvato dalla matematica! Rinvigorito e rianimato da quell’avvenimento, decide di dare onore a quel paio d’ore appena passate e alla congettura di Fermat: lascia il suo patrimonio a chi fosse stato in grado di dimostrate il teorema dell’ Avvo-matico francese del seicento; con una clausola però: l’Ultimo Teorema doveva essere risolto prima del 13 settembre del 2007, ossia prima del centenario di quella tanto sofferta e felice notte. Strappa i suoi legami con la morte, distrugge il testamento e si dimentica della sua amata. Ebbene si, come avete visto un teorema può salvare la vita.

(Ad onor di cronaca ci sono altre due versioni che hanno portato all’istituzione del premio Wolfskehl. Se siete curiosi potete visitare la pagina di Wikipedia dedicata all’industriale.)

-Capolinea? Wiles: uno su infinito ce la fa

 

E siamo arrivati all’era moderna. Siamo arrivati ai giorni nostri. Siamo arrivati all’era dell’informatica. Già, perché anche la nostra amata congettura è stata oggetto di studio dei PC. Infatti, grazie ai computer, la congettura è stata dimostrata per centinaia di migliaia di numeri, ma sempre entro i limiti, sempre entro un numero finito di valori. Come scrisse Guedj, “nell’arco di tre secoli, si è passati da 1 a 2, a 3, a 4, a 100, a molti, a quasi tutti: ma la congettura sarà dimostrata soltanto quando si arriverà a tutti”. Ma una macchina non potrà mai superare l’intelletto e le capacità di chi l’ ha creata. Non ci sarà mai un allievo che supererà il maestro nella dicotomia macchina-uomo, a meno che non sia il maestro a volerlo.

Checché se ne dica, matematici si nasce. Bisogna essere predisposti a determinati requisiti. Mentre noi comuni mortali usiamo giocare in età infantile, gente del genere, outsider, già dai primi decenni di vita si interessa ad altro. Ad esempio, ama andare in biblioteca a cercare enigmi e problemi da risolvere; o, nella peggiore delle ipotesi, se li crea. Noi, esseri “normali”, a quell’età cerchiamo le caramelle nella dispensa.

Andrew Wiles

Andrew Wiles

Un piccolo giovane, a soli 10 anni, durante uno dei suoi momenti passati tra i libri, scopre per caso Fermat e la sua congettura. Andrew Wiles s’incuriosisce, approfondisce e decide di provare a risolverlo. Parte dal presupposto che, data l’apparente facilità del “teorema” e dalle possibilità conoscitive in campo matematico di Fermat, non superiori alle sue, anche lui avrebbe potuto provarci. Hai capito il ragazzino? Caparbio e tenace. Ma è ancora un fanciullo, e deve prima fare gavetta: per prima cosa si avvicina alla teoria dei numeri, strumento primo necessario. Dopo essersi laureato in matematica, a tempo perso lavora a quel “teorema” che lo tormenta ormai da troppi anni. Ha gli strumenti adatti per il suo scopo. Ha sentito infatti che alcuni suoi colleghi hanno dimostrato un’altra congettura, affine alla sfida lanciata dal francese maledetto più di 300anni prima. Ma è cauto e furbo: prima di annunciare al mondo le sue scoperte, decide di fare delle conferenze in cui gira intorno all’Ultimo Teorema, senza mai centrare appieno il bersaglio, forte del fatto che i suoi studi sono di base geometrica e non di algebra. Ci sono infatti degli ostacoli tecnici che, seppur piccoli, devono prima essere superati; i sette anni impiegati a lavorarci sopra non sono affatto bastati. Studiando quasi sempre da solo, finalmente pubblica al mondo i frutti dei suoi sudori: siamo alla fine di giugno del 1993, e la comunità matematica è estasiata nell’apprendere la tanto aspettata dimostrazione alle fine delle tre conferenze accademiche organizzate di proposito; a queste seguirono lunghi applausi e molti complimenti. Tuttavia, non è detta ancora l’ultima parola: essa deve ancora passare il vaglio della peer review: vengono infatti presentate circa duecento pagine di passaggi logici, i quali, a malincuore per tutti, contengono un piccolo errore. Il compendio viene rimandato indietro come da prassi; i sei giudici hanno detto di no. Uno schiaffo a Wiles, delusione e sconforto per tutti. Bisognava rivedere tutto. Bisognava ricominciare daccapo.

Al piccolo problema, rimedia Wiles stesso; in fin dei conti, pensa Wiles, in due settimane si può fare. In realtà, i tempi furono mal calcolati: è già passato un anno, ancora non si è trovata una soluzione e si vive sul filo del raioso. Molta gente chiede di partecipare alla revisione, in modo da dividere il premio; la pressione psicologica, in casi del genere, può giocare brutti scherzi: arriva la depressione. Anche se con lo stato d’animo molto travagliato (ha pensato di gettare la spugna un paio di volte), Wiles non ci sta. Tiene troppo a quel teorema, e gli anni passati in solitudine da stacanovista non possono e non devono essere buttati al vento; per non pensare alla sfida lanciata a se stesso in quella biblioteca quando era un ragazzino sulle sue! Occorre un aiuto per accorciare i tempi e per far si che tutto sia in ordine: una persona fidata e “dentro” il problema. Il tenace scudiero è Taylor, suo allievo tempo addietro.  Dopo due anni di duro lavoro, in parte svolto in solitudine, in parte aiutato da Taylor, arriva finalmente la versione rivista, corretta e accorciata di una ventina di pagine, della dimostrazione dell’Ultimo Teorema di Fermat, pubblicata sugli Annals of Mathematics nel 1995. Si, Wiles ha vinto; Wiles è come un semidio per i suoi colleghi: diventa una sorta di Prometeo della matematica.

A Wiles arrivarono diversi riconoscimenti e premi in denaro, tra cui quello istituito da Wolfskehl (diminuito a causa dell’inflazione), nonché stima da parte della comunità matematica mondiale. L’Avvo-matico finalmente era stato battuto. Tra tutte le congetture matematiche, finalmente quella di Fermat, probabilmente la più famosa e la più cercata, era stata risolta. O forse no…?

-Ne rimarrà solo uno (…ammesso e non concesso che debba esistere): “questa è una dimostrazione del XX secolo”!

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Ora possiamo liberarci da quelle catene immaginarie quali erano le virgolette; possiamo togliere quelle maledette virgolette. Hanno dato un senso di ristrettezza al post e principalmente al teorema stesso. Tuttavia, per alcuni l’Ultimo Teorema rimane ancora spoglio di una sua completa veste. Molti pensano infatti che la caccia è ancora aperta. Si, per alcuni Fermat tiene ancora banco nei salotti matematici.

Ci sono seri dubbi riguardo il fatto che Fermat ci abbia davvero lasciato una dimostrazione; e ammesso che l’abbia trovata, che fosse giusta. Dopo essersi preso gioco dei colleghi, Pierre usava uscire allo scoperto rivelando le sue scoperte tramite le lettere, o comunque lasciando degli indizi sui suoi lavori. Per l’ormai famosissimo Ultimo Teorema non è avvenuto nulla di tutto questo: si pensa infatti che ci abbia ripensato, forzato forse dall’aver trovato un errore nel suo tentativo di dimostrazione. A complicare le cose, ci pensa l’ Avvo-matico stesso: pubblicò infatti una dimostrazione per il caso di “n uguale a 4”. Quindi: lancia l’ennesimo sasso, ma nasconde la mano. Per alcuni questo viene tradotto come un modo per alleviare gli spiriti, ritenendo incompleta la sua dimostrazione; io penso che si sia preso ancora una volta beffa di tutti.

Ma andiamo al pezzo forte: la dimostrazione di Wiles. I metodi utilizzati da Wiles per spiegare l’ Ultimo Teorema, erano sconosciuti a Fermat perché abbastanza “moderni”, e pare che Fermat non abbia fatto un corso accelerato di matematica fino al 1995 per dimostrare la sua piccola congettura. Lo stesso Wiles ha dichiarato che “è impossibile; questa è una dimostrazione del XX secolo“. Questa dimostrazione, ridotta a 150 pagine nella versione definitiva, è considerata unanimemente al di là della comprensione della maggior parte dei matematici di oggi. E dati i presupposti tecnici, è probabile che possa esisterne una più sintetica, facile ed elementare. Attenzione: in questa sede non si vuole sminuire il lavoro dell’inglese! Onore a Wiles, ma, come abbiamo ripetuto più volte, i matematici sono pignoli e precisi.

Come dice Wikipedia,

o esiste una dimostrazione più semplice che i matematici finora non hanno trovato, o Fermat semplicemente si sbagliò. Per questo sono particolarmente interessanti diverse dimostrazioni errate, ma in prima analisi plausibili, che erano alla portata di Fermat.

Già, Fermat non è caduto completamente nel dimenticatoio. Anzi, dato il fascino del teorema, nell’era moderna ha trovato ampio spazio nella finzione e nella letteratura (se siete curiosi potete cercare su Wikipedia; c’è una bella lista dettagliata).

Tante sono state, e magari saranno, le vite di uomini di scienza che si sono incrociate con il nostro amico Pierre. Per alcuni Fermat ha voluto prendere in giro; per altri non esistono soluzioni al suo teorema; altri ancora cercano forse invano una soluzione all’Ultimo Teorema basandosi su conoscenze non troppo “moderne”. A me piace pensare alla vicenda come una sorta di mito, con la sfida ancora aperta e con Fermat che se la ride. Come scrisse Guedj nel Teorema del pappagallo,

Le verità scientifiche hanno bisogno di belle storie perché gli uomini possano affezionarvisi. Il mito, in questo caso, non ha lo scopo di entrare in concorrenza col vero, bensì di stabilire il contatto con quello che preme agli uomini e che li fa sognare.

Fine della storia. È stato un enorme piacere. È stata una bella avventura, per me in primis… Ma… Un attimo ancora…

…E se vi dicessi che Fermat è solo un pezzo di un problema più ampio di cui si cercano ancora le dimostrazioni, detta Congettura abc, il quale fa parte di una schiera più ampia di quesiti classificati in generale sotto il nome di problemi diofantini? E se vi confidassi che a far partire questo gran casino di ricerche fu proprio il matematico greco Diofanto, padre dell’algebra e illuminazione di Fermat, vissuto più di mille e cinquecento anni prima dello stesso Avvo-matico, il quale si è preso anche lui gioco, in forma matematica, dei tanti che volevano sapere i suoi connotati anagrafici…? Si, avete ragione. Adesso basta.

Note:

Dato il lungo arco temporale della vicenda, e i tanti protagonisti, mi sono limitato a considerare quegli avvenimenti che presentavano grandi “colpi di scena”. Chiedo scusa per la lunghezza dell’elaborato, ma ho fatto di tutto per ridurlo ai minimi termini senza far perdere il lato romanzato della vicenda. Ringrazio e mi scuso con chi è riuscito ad arrivare alla fine, e ringrazio e mi congratulo con chi non ha avuto la forza per finirlo: io per primo ho fatto fatica a rileggerlo tutto.

Chiedo umilmente perdono ai miei amici matematici se ho sparato delle corbellerie. A loro chiedo di comunicarmi se qualcosa non va, in modo da poter correre subito ai ripari. Mi scuso anche se ho preferito la parte letteraria a quella prettamente matematica.

Ringrazio Luca Bellomo per avermi fatto vedere la matematica da un lato completamente a me sconosciuto, e per aver controllato i lati tecnici del post; Rosario Balistreri per l’introduzione e Rita Scardino per la solita revisione e per i soliti consigli proficui.

Le immagini sono state prese dalla rete. Le notizie sono state prese da diverse fonti, molte delle quali potete trovare in rete:

Il teorema del pappagallo– Denis Guedj, appendice de L’ultimo teorema– Arthur Clarke, Wikipedia, Breve storia dell’ultimo teorema di Fermat– Carlo Toffalori, dipartimento di Matematica e Informatica- Università di Camerino, L’ultimo teorema di Fermat– autori vari (http://it.wikibooks.org/wiki/L’ultimo_teorema_di_Fermat), Nature.